Il disegno di legge Lavoro, modificato nel corso dell’esame in Commissione, interviene per porre rimedio all’utilizzo dell’assenza prolungata ed ingiustificata del lavoratore per ottenere il licenziamento e il diritto alla NASpI. Secondo la riformulazione dell’art. 9 se un lavoratore è assente senza giustificazione oltre il limite previsto dal CCNL o, in mancanza di tale previsione, per più di 15 giorni, il datore di lavoro deve informare l’Ispettorato del lavoro, che può verificare la situazione. In questo caso, il rapporto di lavoro si considera risolto per decisione del lavoratore, e non si configura l’obbligo di versare il ticket di licenziamento. La lettura del “nuovo” art. 9 non risparmia tuttavia alcuni dubbi in merito all’applicazione della norma.
In un momento nel quale reclutare diventa sempre più complesso (per fattori demografici, culturali, etc), il pensare di concedere un ammortizzatore sociale che tutela quella giusta disoccupazione “involontaria” a chi è, contrariamente, non solo volontario ma proattivo, ha poco senso.
Dovendo mettere ordine tra chi suppone che la NASpI sia un diritto (a tutela della perdita del lavoro) e chi presume sia universale (confondendo la perdita con la scelta), il possibile futuro che si sta profilando sembra proiettarsi verso una chiusura delle possibilità di godimento della vecchia disoccupazione.
Assenza ingiustificata del lavoratore e NASpI: le novità del DDL Lavoro
In effetti il disegno di legge Lavoro, nel corso del suo esame in Commissione (conclusosi il 19 settembre 2024), è stato oggetto di recenti emendamenti che hanno interessato diversi articoli tra i quali, per quanto qui rilevante, quello rubricato “Norme in materia di risoluzione del rapporto di lavoro”.
Con la previsione introdotta dalla proposta emendativa che ha interessato l’art. 9 del disegno di legge Lavoro, il Legislatore ha inteso continuare a manifestare la volontà di combattere quella prassi (talvolta totalmente elusoria e fraudolenta) a merito della quale l’assenza prolungata ed ingiustificata dal lavoratore porti come unica conseguenza il licenziamento a cura di malcapitati datori di lavoro, con riconoscimento della NASpI ai dipendenti volontariamente assenti.
L’identificazione delle dimissioni di fatto alle assenze oltre il termine previsto dal contratto collettivo, dovrebbe portare, quindi, ad un effetto deflativo di tale prassi.
La situazione attuale. L’esame della Giurisprudenza sull’assenza ingiustificata e comportamento concludente del lavoratore
A livello giurisprudenziale, la previsione dell’art. 9 del disegno di legge in trattazione (anche nella sua formulazione più recente di cui si dirà), alla quale si riconosce il merito di formalizzare a livello normativo un orientamento sempre più auspicato, era già stata in parte affrontata da alcune significative pronunce del Tribunale di Udine (si pensi alla sentenza del 27 maggio 2022 o all’ordinanza n. 106 del 2020) nonché dalla sentenza del Tribunale di Monza del 2 aprile 2019.
Un excursus giurisprudenziale sul tema risulta, per ovvi motivi, di particolare rilevanza nel contesto normativo odierno. Anche per capire come era (ed è) possibile operare ora.
Oggetto della pronuncia del Tribunale di Udine del 27 maggio 2022, forse la più significativa sul punto, era l’assenza ingiustificata di un lavoratore che, malgrado i ripetutiti tentativi di comunicazione da parte della Società, risultava assente ormai da più di sei mesi (un periodo di tempo di gran lunga superiore alle ordinarie previsioni contenute nei contratti collettivi in materia di risoluzione dal rapporto di lavoro senza obbligo di preavviso). Il tutto preordinato, ovviamente, all’ottenimento dell’ammortizzatore sociale per la cessazione del rapporto.
Il quesito del maggio 2022 era questo: in caso di protratta assenza ingiustificata da parte del lavoratore, a maggior ragione se per periodi di tempo così prolungati, siamo sicuri che stiamo parlando di licenziamento e non di dimissione di fatto (senza la procedura telematica?)
Il tribunale di Udine non è primo a sentenze connesse alle assenze ingiustificate e cessazione del rapporto di lavoro.
Già con sentenza n. 106 del 2020 il Tribunale friulano, in un caso di assenza ingiustificata più contenuta temporalmente, si era espresso favorevolmente alla cosiddetta compensazione atecnica tra il contributo NASpI e la retribuzione dovuta dall’ex-dipendente, a titolo di risarcimento del danno in favore del datore di lavoro (violazione ex. articoli 1175 e1375 del Codice civile, rispettivamente dovere di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto).
Volendo riassumere, il Giudice di prime cure ha ritenuto corretta la trattenuta del “ticket” dalle competenze di fine rapporto del lavoratore, dato che lo stesso, con il proprio comportamento, ha costretto il datore di lavoro al licenziamento e, pertanto, è causa delle conseguenze economiche del recesso.
Un’ulteriore conferma ed implementazione di tale posizione, si riscontra nella sentenza del Tribunale di Monza del 2 aprile 2019. Il Giudice, in seguito ad una prolungata assenza ingiustificata del lavoratore (peraltro rafforzata dalla successiva instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro con un’altra azienda), aveva ritenuto il comportamento del lavoratore come concludente e, dunque, cessato per manifesta volontà del lavoratore.
Torniamo sempre a Udine e riprendiamo la sentenza del 17 maggio 2022. Nella stessa è stato ritenuto come la fattispecie in esame sia equiparabile alle dimissioni o risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, senza dunque che l’ex dipendente potesse beneficiare della NASpI e, di conseguenza, ritenendo la Società esonerata dal versamento del cosiddetto “ticket di licenziamento”.
Si evidenzia dunque come la giurisprudenza in materia avesse già iniziato a manifestare un progressivo avvicinamento alla tematica del “comportamento concludente del lavoratore” in caso di assenza ingiustificata.
In tal senso i giudici friulani ritenevano fosse superabile la rigida formalità “telematica” in caso di dimissioni affermando che “la volontà risolutiva del lavoratore dipendente si sostanziasse, come accaduto nella vicenda al vaglio, in un contegno protrattosi nel tempo e palesatosi in una serie di comportamenti – anche omissivi – idonei ad assicurare un’agevole verifica della sua genuinità”.
Quindi, ad oggi, in caso di assenze prolungate e non giustificate, è possibile, al di la dell’entrata in vigore del futuro precetto normativo:
- procedere ad una cointestazione disciplinare e successivo licenziamento ma compensando (trattenendo) il contributo NASpI al dipendente;
- oppure, a seconda dell’interlocuzione con il lavoratore (e delle scelte aziendali) di “resistere”, subendo quel prolungamento dell’assenza senza licenziare (ma continuando a contestarlo) fino a che non sia possibile sostenere quelle “dimissioni di fatto” ad oggi ancora assente.
Il futuro che avanza e le criticità
La prassi di malcostume in trattazione (non dimentichiamocelo, frutto di una combo di pareri a cura del Ministero del Lavoro – Interpello n. 13/2015 e dell’
INPS – circolare n. 140/2012) potrebbe avere i giorni contati. Almeno, così dovrebbe essere.
Come riferito, l’art. 9 del disegno di legge Lavoro, disponeva (passato): “In caso di assenza ingiustificata protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a cinque giorni, il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore e non si applica la disciplina prevista dal presente articolo”.
Tuttavia, tale norma è stata recentemente oggetto di proposta emendativa (approvata), in forza della quale: “In caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni, il datore di lavoro ne dà comunicazione alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, che può verificare la veridicità della comunicazione medesima. Il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore e non si applica la disciplina prevista dal presente articolo. Le disposizioni del secondo periodo non si applicano se il lavoratore dimostra l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza.”
La nuova formulazione dell’art. 9, pertanto, innova e modifica la precedente laddove:
- prevede un aumento delle giornate di assenza ingiustificata che, in assenza di previsione contrattuale, determinano l’applicazione della norma, passando da n. 5 a n. 15;
- impone un obbligo comunicativo al datore di lavoro nei confronti dell’Ispettorato.
C’è da chiedersi cosa succederà se tale obbligo non verrà rispettato (che anche il datore di lavoro sia “d’accordo” rispetto all’equazione “non venire più in azienda uguale NASpI”?)
Se nella versione originaria dell’art. 9, infatti, la norma si limitava sbrigativamente a dichiarare il rapporto risolto, la nuova formulazione prevede che, superato il limite massimo di assenze ingiustificate stabilito dal contratto collettivo (o, in sua assenza, dalla norma stessa), il datore di lavoro è tenuto a darne comunicazione all’ITL competente che può verificare l’autenticità di quanto comunicato.
Alcune prime considerazioni
La lettura del “nuovo” art. 9 non risparmia alcuni dubbi operativo/pratici in merito all’applicazione della norma:
- una volta inviata la comunicazione (non ancora definite le modalità, verosimilmente potrà trattarsi di una PEC), la norma dispone la possibilità (“può”) per l’ITL di “verificare la veridicità della comunicazione medesima”. Quale sia il discrimine che l’Ispettorato adotterà per stabilire quali comunicazioni dovranno essere oggetto di verifica non è chiaro, così come non sono chiari i criteri che saranno utilizzati per determinare la veridicità, o meno, di una comunicazione;
- se, una volta ricevuta la comunicazione, l’ITL dovesse stabilire di voler entrare nel merito della stessa verificandone la veridicità, ci saranno dei termini per la definizione di un’eventuale istruttoria? Nelle more della verifica, il rapporto dovrà considerarsi comunque risolto? E come?
- per non parlare del preavviso. Come dimissionario, la scelta più logica appare verso la trattenuta a carico del lavoratore;
Anche in merito al momento di risoluzione del rapporto, infatti, la norma lascia spazio a diversi dubbi.
In ogni caso, alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della norma in trattazione, l’assenza ingiustificata del lavoratore costituirebbe, d’ora in avanti, un valido motivo di risoluzione del rapporto di lavoro per volontà del lavoratore, sollevando la società dall’obbligo di versare il cosiddetto “ticket di licenziamento” (poiché verrebbe a mancare il presupposto di recesso datoriale) e con conseguente impossibilità, da parte del lavoratore dimissorio, di accedere alla NASpI.
Considerazioni conclusive
C’è la speranza che queste norme ci consentano di dichiarare estinta questa prassi incomprensibile.
Non si tratta solo di rispetto di dettati normativi e della ratio relative (come se percepire la NASpI per scelta del lavoratore non comporti un drenaggio di liquidità, preziose, a carico dello stato) ma della creazione di una vera cultura del lavoro, già richiamato dalla Carta Costituzionale (siamo ancora una repubblica fondata sul lavoro mi sembra).
Fonte IPSOA.it